Esistono cioè i “grandi risparmiatori” e i “grandi consumatori” di energia, profili determinati non da un singolo gene, ma da un complesso di fattori. «Tendenzialmente siamo risparmiatori, perché abbiamo il genotipo degli antenati primitivi, vissuti quando il cibo scarseggiava: un metabolismo che consuma poco consentiva loro di sopravvivere alle carestie - osserva Luca Chiovato, docente di endocrinologia all’Università di Pavia e responsabile dell’Unità di Medicina Interna ed Endocrinologia dell’Istituto Scientifico di Pavia dell’IRCCS Fondazione Salvatore Maugeri -. Oggi abbiamo cibo a volontà e l’ambiente ci spinge a essere sedentari: anche da questo derivano i problemi di peso di molti di noi». «Per non accumulare chili di troppo l’introito di energia deve essere pari al consumo, che è dato dal metabolismo basale più la spesa energetica dell’attività motoria volontaria - spiega Francesco Trimarchi, presidente della Società Italiana di Endocrinologia e docente di endocrinologia dell’Università di Messina -. Inoltre, serve “benzina” anche per digerire il cibo che mangiamo e per mantenere il calore corporeo».
Il metabolismo basale incide per il 60-70% della spesa energetica totale, perché servono molte calorie per far funzionare tutto l’organismo anche se non muoviamo un dito e restiamo zitti. Per misurarlo in maniera grossolana si possono considerare parametri come peso, altezza, età e sesso; la misura precisa si fa invece con la calorimetria, un esame da svolgere a completo riposo con il quale si quantifica l’ossigeno consumato e l’anidride carbonia prodotta, che sono correlati al dispendio energetico. In alternativa, essendo il metabolismo basale proporzionale alla massa muscolare, si può valutare la composizione corporea con l’impedenziometria, un test che misura la resistenza dei tessuti al passaggio di una piccola corrente informando così sulla quantità di massa grassa e magra presenti, o la plicometria, che stima il grasso sottocutaneo in punti specifici del corpo “pizzicando” la pelle con uno speciale strumento. «In passato la stima del metabolismo basale veniva usata anche per valutare la funzionalità della tiroide, che incide molto sulla velocità del consumo di energia dell’organismo - dice Chiovato -. Tuttavia è un metodo poco specifico, perché i valori del metabolismo basale si alterano solo per gradi elevati di disfunzioni tiroidee».
Certo è che la tiroide c’entra molto nella velocità con cui consumiamo energia, come spiega Castello: «Assieme a cortisolo e adrenalina prodotti dalle ghiandole surrenali, gli ormoni tiroidei sono quelli che più incidono sul metabolismo, perché lo regolano nella maggior parte dei tessuti: agiscono sull’apparato respiratorio delle cellule, favoriscono la produzione di nutrienti, la sintesi delle proteine e la scissione dei grassi, aumentano l’utilizzo del glucosio. Così non sorprende scoprire che il consumo di ossigeno di un paziente ipotiroideo, indicativo del metabolismo basale, scende a 150 millilitri al minuto rispetto ai circa 250 della norma; in chi invece ha una tiroide iperfunzionante, sale anche a 400 millilitri al minuto». Gli ipotiroidei e gli ipertiroidei sono infatti i casi in cui il metabolismo basale ha una velocità evidentemente diversa dal normale, con conseguenze sullo stato di salute generale: chi diventa ipertiroideo dimagrisce pur mangiando più del solito, è irrequieto, iperattivo, ha il battito cardiaco accelerato, suda molto; chi invece ha la tiroide “addormentata” perde l’appetito (l’aumento di peso quindi è spesso limitato, contrariamente a quanto tanti pensano), è sonnolento, soffre il freddo, ha il battito cardiaco rallentato.
«Quando non c’è un problema della tiroide, invece, il metabolismo basale di ciascuno di noi può essere più o meno lento, ma in misura modesta, tale da giustificare solo in minima parte eventuali differenze di peso» dice Chiovato. Secondo gli endocrinologi però avere un’idea almeno approssimativa del proprio metabolismo basale è utile per non fare errori con le diete: «Seguire a lungo un’alimentazione ipocalorica che introduca meno energia di quella necessaria a riposo è pericoloso - avverte Trimarchi -. I regimi di questo tipo non possono essere protratti più di poche settimane e solo se si è seguiti dal medico. Quando si forniscono meno calorie di quelle richieste dal metabolismo basale il corpo entra in allarme: prende nutrienti dal tessuto muscolare, azzera la possibilità di riprodursi». Tutto l’organismo si indebolisce se non ha più “benzina” per funzionare: cuore e ossa diventano più fragili, ci si ammala più facilmente, si è incapaci di concentrazione e sonnolenti, fino a sviluppare una vera e propria anoressia. Anche senza arrivare a tanto, con le diete drastiche che tagliano troppe calorie non si ottengono comunque risultati: «In breve tempo fanno “addormentare” il metabolismo, perché il corpo vive la carenza di calorie come un’emergenza da gestire abbassando i consumi al minimo. A quel punto l’ago della bilancia si inchioda e scatta la frustrazione, così viene naturale ricominciare a mangiare e i chili tornano: le soluzioni rapide non pagano mai, meglio un calo di peso lento e costante che mantenga sempre il metabolismo “sveglio”» conclude Castello.
Nessun commento:
Posta un commento